L’industria della moda ha una storia di essere “sporca” e non etica, approfittare delle persone e dell’ambiente realizzando enormi profitti, che risale alla rivoluzione industriale e allo sviluppo del telaio a macchina. (D. Thomas, Fashionopolis)
Secondo il rapporto Global Fashion Agenda 2022, il pianeta soffre perché la domanda di risorse naturali è troppo alta. È necessario sviluppare una buona gestione delle risorse naturali per preservare il pianeta e il benessere delle generazioni future. La moda contribuisce ogni anno per circa il 4% delle emissioni globali di CO2. Secondo l’IPCC, ci sarà una crescita delle emissioni che avrà gravi conseguenze per le persone, le imprese e il nostro pianeta. Se continuiamo con l’attuale modello di business, non raggiungeremo gli obiettivi della Fashion Agenda 2030.
La sostenibilità ambientale, economica e sociale si è resa necessaria a livello strategico per i brand del settore moda, al fine di soddisfare la domanda di un consumatore sempre più consapevole.
Lo studio della Ellen MacArthur Foundation, “Una nuova economia tessile: ridisegnare il futuro della moda” descrive ciò che questo settore ha portato e i suoi futuri sviluppi economici. Negli ultimi 15 anni, l’aumento dei redditi globali e la diffusione della moda “fast” che offre prezzi più bassi, collezioni annuali e nuovi stili a cui conformarsi, hanno portato la produzione di abbigliamento a raddoppiare da 50 miliardi di pezzi nel 2000 a oltre 100 miliardi nel 2015; allo stesso tempo, l’uso medio di ogni capo è diminuito del 36%, con un picco del 70% in Cina. Un valore totale di 460 miliardi di dollari che potrebbe ancora essere utilizzato e invece finisce nelle discariche e negli inceneritori perché meno dell’1% del materiale utilizzato nella produzione viene riciclato in nuovi vestiti. Per questi motivi l’industria della moda è considerata una delle più inquinanti e insostenibili al mondo. Entro il 2050 si prevede che la produzione di vestiti aumenterà tre volte di più rispetto ad oggi e gli sforzi per non superare l’aumento di 1,5 gradi della temperatura terrestre rispetto all’era preindustriale sarebbero vani, secondo molti studi. Il consumo di risorse non rinnovabili salirebbe alle stelle a 300 milioni di tonnellate e 22 milioni di fibre di microplastica verrebbero scaricate negli oceani. Per non parlare della pressante questione del lavoro minorile e non solo, su cui già puntano il dito numerose organizzazioni non governative.