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Greenwashing

L’evoluzione comunicativa degli anni ’90 e 2000, unita alla crescente cultura ecologista, ha portato le aziende ad improvvisare campagne pubblicitarie improntate sulla sostenibilità.  Con lo spostamento della preferenza dei consumatori verso beni o servizi più rispettosi dell’ambiente, le aziende hanno iniziato ad adottare pratiche ecocompatibili nel loro modello di business. Tuttavia, la domanda per le aziende di diventare “verdi” sta causando un aumento di marchi che rivendicano credenziali verdi quando, in realtà, ne hanno pochissime o nessuna.

Nacque così nel 1991 il fenomeno del Greenwashing, analizzato e teorizzato dall’agenzia americana TerraChoice che studiò la comunicazione dei prodotti di largo consumo (in U.S.A. e Canada) che dichiaravano un posizionamento “verde”.

Il termine deriva dall’unione di due parole: green e whitening (riverniciare). Il Concise Oxford English Dictionary” lo definisce “la disinformazione divulgata dalle organizzazioni così da presentare un’immagine pubblica ambientalmente responsabile”. Il greenwashing altro non è, infatti, che la comunicazione di informazioni false o poco veritiere sulle caratteristiche e benefici dei propri prodotti o della propria azienda.

Il greenwashing, può essere realizzato sia livello di prodotto che a livello di impresa. Il primo, consiste nel trasmettere informazioni non veritiere sulle performance ambientali del prodotto, mentre il secondo si concretizza in due comportamenti: scarse prestazioni ambientali e comunicazione positiva sulle proprie iniziative ecologiche. Potremmo dunque classificare le imprese in due tipologie, le imprese brown, che realizzano scarse prestazioni ambientali e le imprese green, che si impegnano concretamente per la tutela del pianeta. A questo punto due sono i modi in cui un’impresa può diventare greenwashed: un’impresa brown che inizia a comunicare positivamente il proprio impegno verso il pianeta o un’impresa green che altera la propria comunicazione ambientale (overclaims).

Un esempio italiano di greenwashing è ben rappresentato dalle acque minerali che hanno subito sanzioni per comunicazioni scorrette o ingannevoli.

Infatti, nel gennaio 2010 San Benedetto è stata condannata a pagare una multa di 70.000 Euro per avere presentato, nei messaggi pubblicitari, la propria bottiglia di plastica come “amica dell’ambiente”, prodotte con meno plastica e con minor consumo energetico. In realtà, San Benedetto non ha mai effettuato studi per dimostrare la veridicità delle affermazioni ambientali e, secondo l’antitrust, il risparmio energetico e la riduzione di emissioni di anidride carbonica grazie alle nuove bottiglie non è stata mai calcolato effettivamente.

Il consumatore attento alle tematiche ambientali e alla sostenibilità può individuare i peggiori sintomi del greenwash e acquistare consapevolmente.

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Francesca Rizzi

Consulente Manageriale
& Sustainability Manager

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