Esiste davvero una moda sostenibile? Questa è una delle domande che ci si è posti in occasione del COP 26, il summit ONU sui cambiamenti climatici iniziato il 31 ottobre.
Come ben sappiamo il settore della moda rappresenta uno dei più importanti “responsabili” delle emissioni e dell’inquinamento globale. Nello specifico al settore è impiotabile ben l′8% delle emissioni annue globali e il 90% di queste deriva direttamente dalla catena di approvvigionamento.
Contestualmente a questo evento globale, tenutosi a Glasgow, organizzato da UK in collaborazione con l’Italia sono stati presenti leader mondiali della politica, diplomatici, Ceo di grandi industrie, celebrities e attivisti (si attendono proteste).
COP 26 è stato un evento di grande rilevanza che ha raccolto importanti personalità mondiali dove ogni Paese ha dichiarato il proprio piano di contrasto alle emissioni.
Da COP21 del 2015 l’obiettivo non è cambiato: occorre a ridurre collettivamente le emissioni di gas serra per evitare il surriscaldamento globale di altri 1,5 gradi °C.
Un’attenzione particolare è stata posta al settore moda in quanto la Fossil Free Fashion Scorecard, che pone a confronto 47 aziende del lusso, del fast fashion o di quello sportivo, ha mostrato come l’utilizzo dei combustibili fossili è crescente.
Dati questi presupposti sembra che non esiste alcuna “moda sostenibile” ; è necessario che le aziende della moda riducano le emissioni annue globali impegnandosi con i propri fornitori per la conversione delle loro strutture e per accrescere l’utilizzo di energie rinnovabili. Un’azione complessa data la complessità della catena di approvvigionamento [spesso i marchi non sanno quali sino esattamente sono i loro fornitori].