Le congiunture e i trend in atto sono tali che si sta assistendo ad un fortissimo rincaro dei trasporti, materie prime, energia. Una dinamica di estrema importanza che sottende dubbi e complessità. La prima domanda che sovviene consiste nell’identificazione di chi sarà il soggetto su cui questi costi peseranno concretamente. Questi costi si andranno, quindi a riversare direttamente sul consumatore oppure sulla catena di fornitura o sui brand che vedranno una contrazione dei margini? Una domanda importante che non può essere sottovalutata e ritardata al momento in cui le scorte saranno terminate.
Andando a prendere i dati disponibili emerge secondo la ricerca condotta da Sistema Moda Italia, che il rincaro del 2021 è del 36,3% rispetto al 2020.
Un dato che spaventa soprattutto se scomposto: il cotone ha conosciuto una crescita del 47,3%, la lana del 45,1%, le fibre sintetiche sono aumentate di circa il 50,9% e le artificiali hanno ottenuto un +17,3%.
Non sono gli unici costi che hanno visto una crescita rilevante poiché a questi aumenti si vanno a sommare anche quelli dell’energia, aumentati di circa il 40% per l’elettricità e al 30% per il gas.
Il quadro è preoccupante per tutta la filiera della moda italiana al punto che si sta tornando al centro della geografia produttiva della moda per i problemi connessi alla produzione nei paesi asiatici. Nello specifico sembra che si sta rivedendo la delocalizzazione a favore di un “rientro” Italia. Questa dinamica, a sua volta, però sottende la possibilità che a livello dei distretti si sviluppi una guerra dei prezzi per ottenere le commesse. Una strategia che andrebbe, a sua volta, ad accrescere la complessità della catena di produzione.