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Franco Di Carlo, “La Morte Di Empedocle”, Edizioni Divinafollia – 2019, nota di lettura di Domenica Giaco

“Ormai Empedocle è morto/e con lui anche la voce degli Dei e dell’essere

fatale destino dell’Occidente”

Moriva per sempre Empedocle, e con lui  il sogno dell’armonia primigenia fra l’uomo e la natura. Dopo di lui, filosofi e poeti, con dolorosa melanconia e nostalgia, si sono interrogati sull’essere e il suo destino. Visse in Sicilia nel V secolo a.C., ebbe fama di taumaturgo, medico, profeta, oratore, ma fu soprattutto filosofo e più di tutto poeta. Di nobili natali, ebbe passione politica, si schierò dalla parte dei democratici e fu per questo inviso alla classe aristocratica che presumibilmente fu responsabile della sua morte, che resta tuttavia avvolta nella leggenda e nel mistero, e anche per questo Empedocle giunge a noi come mito. Due opere, di cui appena pochi frammenti scritti in versi giungono a noi, Sulla Natura e Le Purificazioni. Frammenti, ma abbastanza per comprendere la sua visione della vita. Visione religiosa ed etica di una perfetta unione tra Spirito e Natura. La sua morte segnò definitivamente la fine di questo equilibrio.  Scrive Franco Di Carlo: “Empedocle, puro, innocente e poetico, aveva trovato l’archè e per questo morì, per aver visto la purificazione e la luce archetipica della Verità”. Il suo “martirio” fa di lui un eroe tragico in senso moderno. Andò oltre la politica, e scelse la morte. Scelse la morte nell’impossibilità di realizzare il suo ideale; la scelse come liberazione, per salvare il Sacro che era in lui. Un Sacro che non era il divino, bensì l’ulteriore al divino. Un Sacro annunciativo del luogo in cui abitare. Al “poeta tragico e folle” si ispira Franco Di Carlo ne La Morte di Empedocle. Una poesia che nasce da un sentimento di perdita e di nostalgia, dal desiderio di un altrove ove ricongiungere l’anima all’Uno da cui è sgorgata. Una distanza temporale di un tempo ormai trascorso. Il paradiso perduto delle origini. Il Mito. Una lontananza nostalgica e malinconica e viva. Il poeta, un tempo creatore di valori, avverte profondamente l’aridità di quanto lo circonda, è dolente e stanco. La perdita del mondo antico e del Sacro ha condotto inesorabilmente a un decadimento antropologico e a un immiserimento della lingua. Un’insensata modernità avanza con la scienza e con la tecnica, dopo aver distrutto distrutto l’universo dei miti e la poetica delle cose. Franco di Carlo si chiede se ancora oggi la poesia possa avere un ruolo salvifico contro lo stato di ignoranza e contro l’ottundimento psichico del nostro tempo. Nell’antichità il poeta veniva concepito come un vate ispirato da Dio, un essere quasi leggendario e soprannaturale, la poesia era spazio collettivo di condivisione, e in questo sentimento collettivo nasceva la passione civile, motivo dell’impianto etico della scrittura che poteva assumere significato oracolare. Oggi la poesia la ritroviamo chiusa in uno spazio intimo, personale. E il poeta, perduta nel tempo la sua funzione di vate, sembra non avere più ruolo nella società moderna. Da Hölderlin , che ad Empedocle dedicò un dramma , a Leopardi, straziante di malinconia nella sua radicale consapevolezza, a Baudelaire, che ha perduto la sua aureola, a Rilke, pieno di dolore per la sua non appartenenza, fino a Montale, il quale non fu più in grado di trovare la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro informe, potendo solo dire ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

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La postmodernità è sprofondata in un delirio disforico, libertino e consumistico. Il post moderno non è dopo la modernità o contro la modernità, il post moderno è ancora dentro il moderno, non costituisce un già oltre o un contro, ma una variante debole dove l’essere non è, è assente, o ancora, vive in una forma di precariato che induce a pensare a un non destino, a un andare verso l’abisso del nulla. E proprio sull’essere si incentra il pensiero di Franco di Carlo. In lui contenuto e forma condensano il senso di una poesia ontologica, metafisica, spirituale, alta, nobile, diversa, conoscitiva. Attraverso un discorso metapoetico e metalinguistico, come Empedocle, si pone alla ricerca della Verità. Una parola poetica activa, e quindi mitica e reale, rivelativa dell’essenza prima, del principio primo delle cose, cioè dell’essere e del non essere: “nobile è il mio pensare / e il canto un responsabile giocare / molto serio il mestiere mirabile /non distante dal mondo un canto diverso e inattuale in pensare / non ortodosso e non congeniale al potere situato su posizioni né post né pre moderne, ma postume su opinioni competenti e questioni profonde

Un livre absolu traspare libero.

Parole della lingua e dell’essere “la ricerca continua di vere parole piene di senso e non senso, ma significative di valori (o dis-valori) etici ed estetici”

La Morte di Empedocle  di Franco Di Carlo si propone in primo luogo l’indipendenza culturale, antropologica e linguistica. Rifugge dalle macerie, i detriti, gli scarti per cui è arrivata la poesia omologata di oggi. Parafrasando i suoi versi, egli ci dice di difendere e perseguire un’idea di letteratura che non cerca il successo, non segue le ragioni del mercato e del consumo, e che cerca e dice la Verità. Una poesia che sia allo stesso tempo filosofica ed esistenziale. In questo tempo, dunque, un’anti-poesia: “dove domina la technè in dimensione globale / letale la sua sopraffazione radicale / La sua trasformazione in fine unico ed essenziale / pratica di potere e selezione che dissolve la storia/  e la memoria in dipendenza totale dell’azione funzionale / dell’economia e del capitale. Prestazione obbligata al suo ruolo artificiale / homo faber produttore di massa di messe e di consumi / Condotta omologata e controllata in forma uguale”

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Pasolini diceva: “la mancanza di stile si combatte con lo stile”. E il nostro Poeta medita il da farsi. Medita sulla sopravvivenza della Poesia: “dobbiamo metterci in cammino, forse un viaggio / all’interno, verso un tacito discorso”. “Ritornare dove già sono. Questo è il processo / regresso da avviare sulla strada del pensare / arrivare al luogo scelto, opposto a quello voluto / dal progresso nell’apparato tecnico rivelarsi degno di essere pensato e donato”

Un monologo, lungo cammino interiore, itinerario della mente, tra boschi sacri abitati da ninfe e animali magici, antri oscuri, paesaggi lunari e celestiali, sorgenti e rivi, pianure. E silenzi arcani di parole alate. Una purificazione… la Conoscenza. Franco di Carlo, poeta sapienziale e sapiente poietico, con illuminante generosità noetica, non si chiude in una torre d’avorio nel silenzio della rassegnazione. Di fronte alla decadenza di una umanità  senza destino, mette a frutto la sua capacità analitica, consapevole che la poesia sia la forma più alta di conoscenza, più della politica, più della scienza, più dell’economia, più della religione, e se nobile, sincera e alta, può anche avere la capacità di provocare un cambiamento nelle coscienze. L’identità dei Paesi, più dei politici e della politica, l’hanno creata i Poeti e la Poesia. Come profeta (non in senso biblico ma con illuminante visione) invita  allora gli uomini in un ultimo appello a rinascere dalla notte dei tempi:

“Rinascete alla vita e distinguete / il vero dal mondo falso riprendete / il viaggio incompiuto. Tempo verrà / che nessun moto mai più vi scuoterà /dalla notte del sonno e lì resterà / sempre immutato, l’eterno dolore”

Una scelta di impegno. Con la serenità di chi sa di compiere un dovere, egli condensa dei valori schierando il proprio vivere nel suo tempo. Poesia non come rifugio ma come presenza. In fondo la nostra non immortalità ha nelle favole antiche, nei miti, nella poesia, uno strumento di elevazione etica, di educazione e nobilitazione del vissuto. Questo ci insegna la Morte di Empedocle, questo il dono del Nostro Poeta.

Domenica Giaco

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Francesca Rizzi

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